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atto quarto 335
dal servaggio novel, manda il buon Sisto

poca sua gente.» — Ecco la voce, ond’io
sperai, che scarsa, ma palese forza
i tiranni aspettando, ogni pensiero
rivolgerian contr’essa; e ben mi apposi.
Al nuovo dí corre Lorenzo al campo;
ma, sorgerá pur troppo a lui quel sole,
ch’esser gli debbe estremo. Entrambi spenti
fian domani. All’impresa io pochi ho scelti,
ma d’ira alti e di core. Alberto, Anselmo,
Napoléon, Bandíni, e il figliuol tuo.
Rinato vil, di nostra stirpe ad onta,
d’esser niegommi del bel numer uno.
Gugl. Codardo! E s’egli or ci tradisse?
Raim.   Oh, fosse
pur ei da tanto! ma, di vizj scevro,
virtú non ha: piú non sen parli. — Anselmo
preste a ogni cenno tien sue genti d’arme;
ma il perché, nol sann’essi: a un punto vuolsi
da noi ferire, ed occupar da lui
il maggior foro, ed il palagio, e quante
vie lá fan capo; indi appellar la plebe
a libertá: noi giungeremo intanto...
Gugl. Ma, in un sol loco, e ad una morte trarli,
pensastel voi? Guai se l’un colpo all’altro
tardo succede, anco d’un punto.
Raim.   All’alba,
pria che di queste mura escano in campo,
al tempio entrambi ad implorare ajuto
all’armi lor tiranniche ne andranno:
lá fien morti.
Gugl.   Che ascolto? Oimè! nel sacro?...
Salv. Nel tempio, sí. Qual piú gradita al cielo
vittima offrir, che il rio tiranno estinto?
Primo ei forse non è, che a scherno iniquo
l’uom, le leggi, e natura, e Iddio si prende?