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ATTO TERZO

SCENA PRIMA

Arrigo.

No, l’indugiar non vale; e omai non deggio

piú rispetti adoprare. Onor fallace
mi si fa, mal mio grado: a che assegnarmi
quella insolita stanza?... È ver, che un tetto
mal coll’inganno l’innocenza alberga;
e me non cape scellerata reggia:
ma soverchio è l’oltraggio; aperto è troppo
il diffidare. Al fin si scelga, al fine,
un partito qualunque. — Ormondo chiede
di favellarmi; ei s’oda. Or forse scampo
(chi sa?) mi s’apre, donde io men lo attendo.


SCENA SECONDA

Arrigo, Ormondo.

Arrigo Ben venga Ormondo alla novella corte,

cui niuna havvi simile.
Orm.   A noi son note
tue vicende, pur troppo; e me non manda
quí Elisabetta spettator soltanto:
ma, piena il cor per te di doglia, vuolmi
fra voi stromento d’una intera pace.