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atto primo 247
Oda ei (se il può) senza timor né sdegno,

questo parlar tuo libero, ch’io in prova
di non colpevol coscíenza udiva.


SCENA SECONDA

Maria.

Del volgo cieco istigator mendaci,

d’empia setta ministri, udrò sempr’io
il favellar vostro arrogante? — Ah! questo,
di quanti affanni seggon meco in trono,
è il piú grave a soffrirsi: eppur mi è forza
soffrirlo, infin che al prisco alto splendore
per me non torna il mio depresso soglio.


SCENA TERZA

Maria, Ormondo.

Orm. Regina, a te raffermator di pace,

e d’eterna amistá nunzio m’invia
Elisabetta; il cui possente ajuto
ad ogni impresa tua t’offro in suo nome.
Maria A prova io giá l’amistá sua conobbi;
la mia per essa argomentar puoi quindi.
Orm. Perciò fidanza, e di pregarti ardire
prendo io...
Maria   Di che?
Orm.   Sai, ch’Imeneo finora
stretta non l’ha de’ lacci suoi; che il solo
successor del suo regno è il figliuol tuo:
per questo unico tuo sí dolce pegno,
speme d’entrambi i regni, a noi non meno
caro, che a te; dare all’oblio ti piaccia
ogni rancor che in cor ti rimanesse