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246 maria stuarda
portando io il fianco del primiero pegno

d’amor giá dolce, al tradimento ei viene:
e di quel vil, quanto innocente, sangue
la mensa, il suolo, e le mie vesti, e il volto
contaminarmi, e in un mia fama, egli osa.
Lamor. Troppo era Rizio in alto. A un re qual puossi
piú oltraggio far, che averlo posto in seggio?
Tor può il regno chi ’l diede; e chi il può torre,
s’odia e spegne dai re. Ma pure, Arrigo
a tua vendetta abbandonava poscia
di tale impresa i complici: col sangue,
parmi, il sangue lavasti. — Io quí non vengo
d’Arrigo a tesser laudi: egli è minore
del trono; or chi nol sa? Ch’ei t’è consorte,
vengo a membrarti; e che di lui pur nasce
l’unico erede del tuo soglio. Un grave
scandalo insorge dai privati vostri
sdegni; a noi tutti alto periglio è presso.
Fama è ch’oggi ei ritorna: altre fíate
tornò; ma quindi ei ripartia piú mesto,
e assai piú fosca rimaneane l’aura
della tua reggia poi. Deh! fa che invano
oggi ei non venga: assai discordie, troppe,
nutre in se questo regno. In mille opposte
sette straziar, non professare, io veggo
religíon, che giace. Ultimo danno
fia la regal dissensíon; deh! il togli.
Senza velen di menzognera lingua,
di cor verace, arditamente io parlo.
Maria Io tel credo: ma basta. Or deggio in breve
dare all’anglo orator prima udíenza.
Lasciami: e sappi, e al popol di’, se il vuoi,
ch’io di me stessa immemore non vivo
sí, ch’altri or debba il mio dover membrarmi.
Ciò che a dirmi ti sforza amor del vero,
dillo ad Arrigo, a cui piú assai si aspetta.