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214 merope
perdona, deh! l’involontario oltraggio:

per te fui madre; e pel tuo figlio io vengo
alle nozze di morte. A fero passo
mi traggi, o figlio... Ma, se in vita resti,
assai son paga... E fia pur ver, che a forza?...
O voi, giá un dí, sudditi fidi al padre,
a tal ridotti or ci vedreste?...
Polif.   Or via...
Mer. Deh! non sdegnarti: al mio parlar do fine
in brevi detti. — Odi tu dunque, o figlio,
gli ultimi miei consigli. Al vincitore
piega tu omai la invan superba fronte:
fuor che a servir, nulla insegnarti io posso.
Soltanto omai, col prevenir sue voglie,
coll’eseguirle tacito, col farti
umil quanto piú puoi, né mai del padre
pur rammentando il nome; con quest’arti
forse il suo cor tu svolgerai dal sangue.
Chiusa per sempre la tua madre in tomba
vedrai tra breve: in mente accogli intanto,
duri a serbar, questi suoi detti estremi.
Egisto Misera madre!... Oh rio dolor!... Ma, trarre
vogl’io tal vita, a sí gran costo? Ah! vita
non m’è il servir. Tu vivi, o madre; e lascia
che degno almen dell’alto padre, io pera.
Polif. Merope, omai questo indugiar soverchio
m’irríta. Il regno, e intera pace, e il figlio
ti rendo a un tempo. A che quel pianto? Or, speri
forse i miei ribellarmi? Appieno in loro
securo io vivo: e ognun di lor ben vede,
ch’io far per te, s’anco il volessi, or nulla
di piú potrei. — Su dunque; in alto penda
sul collo al tauro la bipenne sacra.
Ecco la destra mia; Merope, aspetto
la tua, per cenno d’immolare ai Numi
la vittima.