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176 merope
e l’uccisor n’era costui...

Mer.   Che miro?...
Questi?... Oh qual strana somiglianza io veggo!
Polif. Se del mio regno la quíete interna
mi prema, il sai: pur, se il rimiri o ascolti,
quasi innocente il credi.
Mer.   È ver; l’aspetto
di malvagio ei non ha: nobil sembianza...
Ma, oimè! di sangue egli è grondante ancora.
Egisto Donna, e chi ’l niega? Questo sangue a prima
troppo mi danna: ma, se stato io fossi
dotto in versarlo, anco in mondarmen dotto
stato sarei: poca onda, e fermo viso,
nelle tenebre eterne avrian sepolto
il fallo mio. Ma, credi, assai piú dura
pena, che il re non mi apparecchia, io provo
nel mio rimorso. Eppur, ch’altro potea?
Sol, peregrino, ignoto, armi omicide
non io perciò meco arrecava: il ferro,
che nel giovin superbo in mia difesa
fui sforzato adoprar, di man gliel trassi...
Ah! credi; al sangue non son io cresciuto.
Mer. Era l’ucciso un giovinetto?
Egisto   Ei pari
m’era d’etá.
Mer.   Che sento?...
Polif.   E par, ch’ei fosse
non ben dritt’uom, se dice il ver costui.
Fuggia correndo per romito calle...
Egisto Anzi, or sovviemmi, ch’ei da pria celava
col pallio il volto in parte...
Mer.   Ei s’ascondeva?...
Fuggia?... — Ma tu, nol conoscevi?
Egisto   Affatto
stranier quí sono; ed ei (l’ho sempre innante)
straniero anco mi parve;... anzi, era, al certo;