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144 timoleone
sottoposti; nel popolo; nei grandi;

nella union de’ non mai compri voti;
nella incessante, universal, secura
libertá vera, che ogni buon fa pari:
e, piú che tutto, è della patria vita
l’abborrir sempre d’un sol uomo il freno.
Ciò non sai tu? — Rimane ultimo oltraggio
a farsi a me da voi; l’osar tenermi,
o il fingere di credermi sostegno
alla vostra tirannide. — Tu, donna,
del figlio al par, d’ambizíone iniqua
rea sei convinta, a manifesti segni.
Piú che a me cittadino, a lui tiranno
esser madre ti giova: assai m’è chiaro.
Demar. È chiaro a ognun, che al par di te spogliarmi
l’amor non so del sangue mio; che madre
pur sempre io son... Fratel cosí tu fossi!
Timol. Oh! qual madre se’ tu? Spartane donne,
t’insegnin esse in libera cittade
ciò ch’esser den le madri. Il tuo, che chiami
materno amore, effeminato senso
di cieca donna egli è, che l’onor vero
ti fa pospor del figlio alla ostinata
vile superbia sua. Le madri in Sparta
mira, dei figli per la patria morti
allegrarsi; contarne esse le piaghe;
e lavarle, baciandole, di liete,
non di dolenti lagrime; e fastosa
andarne piú, qual di piú figli è priva:
donne son quelle, e cittadine, e madri.
Tu, del tuo figlio alla inflessibil voglia,
che pur conosci rea, ti arrendi; ed osi
dirmi e sperar, ch’io mi v’arrenda? Al mio
piú inflessibil voler, ch’esser sai figlio
di virtú, di’, perché non cedi? Il nome
per lui fai solo risuonar di madre;