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8 rosmunda
ei difensor magnanimo: tai prove

fea di valore egli per me, che il merto
mai pareggiar col guiderdon non posso.
Rosm. S’io ben mi appongo al vero, il tuo bollente
sublime cor spinto ti avea lá dove
il periglio piú ardeva. Ah! di Rosmunda
non rimembravi allor le angosce, i pianti,
il palpitare. Del valor tuo troppo
quant’io temessi, il sai: pur mi affidava
il prometter, che festi anzi la pugna,
di non ti esporre incautamente indarno.
Io ten pregai; tu mel giuravi: ah! dimmi;
che sarei senza te? nulla m’è il trono,
nulla il viver, se teco io nol divido.
Almac. Te rimembrava, e l’amor tuo: ma capo
dei Longobardi degno, e degno sposo
dovea mostrarmi di Rosmunda a un tempo,
ferocemente andando a morte incontro.
Come ammendar, se non col brando, in campo,
quel fatal colpo, che di man mi uscia?...
Rosm. E che? d’avermi vendicata ardisci
pentirti?...
Almac.   Ah! sí. Non la vendetta, il modo
duolmi, ond’io l’ebbi, e mi dorrá pur sempre.
Per torre a me tal macchia, erami forza
tutto versar, quant’io n’avessi, il sangue. —
Ad alta voce io traditor mi udiva
nomar da Clefi, e da’ suoi prodi; al centro
del colpevol mio core rimbombava
il meritato, ma insoffribil nome.
Nol niego; allor, tranne il mio onor perduto,
d’ogni altra cosa immemore, mi scaglio
ove si addensan piú le spade, e l’ire:
cieco di rabbia disperatamente
roto a cerchio il mio brando; ampia lor prova
col ferro io do, che traditor vie meno