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atto primo 5
de’ pattuiti ajuti, che a me presta

contro Clefi Alarico, io la regale
fede mia n’impegnai. Godi: alto sposo
avrai, qual merti: e benché vasto regno,
a par di quelli che usurpò tuo padre,
gli Eruli a lui non dieno, ei lo pareggia
in efferata crudeltade al certo.
Felice te, quanto Alboín mi fea,
Alarico fará.
Romil.   Non sperar mai
che a tali nozze io vada. Ove tu vinca,
e aver di me piena vendetta brami;
fra queste mura stesse, ove del padre
l’ombra si aggira invendicata, dove
vil traditor, che lui svenò, sen giace
a lato a te, nel talamo suo stesso;
quí dei la figlia uccider tu; quí lunghi
martirj orrendi, e infami strazj darle.
Ma, tu dispor della mia destra?...
Rosm.   Aggiunti
i furor tutti di crudel madrigna
ai furori di barbaro marito,
in Alarico troverai. Di morte
punisco io quei che in un pavento e abborro:
te, cui non temo, io vo’ punir di vita.
Romil. Pari in ferocia a te chi fia? non io.
Pianto non è, non d’innocenza grido,
che al cor ti scenda, il so: né schermo resta
a me, che il pianto... Oh ciel! — Ma no: ben posso,
e so morir, purch’io non vada... Forse
meglio mi fora, le tue nobili arti,
e il tuo pugnale ad Alarico in dote
recando, fargli le mie chieste nozze
caro costare: ma, son io Rosmunda?
Rosm. Io ’l sono; e assai men pregio. Al mondo è noto,
ch’a incrudelir prima non fui.