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82 filippo
mostrava affetto insolito. Deh! mai,

mai piú di me non gli parlare.
Isab.   Ei primo
menzion mi fea di te; quasi a risposta
ei mi sforzava: ma, placarsi appieno
parve a’ miei detti il suo furore. E or dianzi,
allor che appunto favellato ei t’ebbe,
teneramente di paterno amore
pianse, e laudotti in faccia mia. Ti è padre,
ti è padre in somma: e fia giammai ch’io creda,
ch’unico figlio, il genitor non l’ami?
L’ira ti accieca; un odio in lui supponi,
che allignar non vi può... Cagion son io,
misera me! che tu non l’ami.
Carlo   Oh donna!
mal ci conosci entrambi: è ver ch’io fremo,
ma pur, non l’odio: invido son di un bene,
ch’ei mi ha tolto, e nol merta; e il pregio raro,
no, non ne sente. Ah, fossi tu felice!
Men mi dorrei.
Isab.   Vedi: ai lamenti usati
torni, malgrado tuo. Prence, ti lascio.
Vivi securo omai, ch’ogni mio detto,
ogni mio cenno io peserò ben pria,
che di te m’oda favellar Filippo.
Temo anch’io,... ma piú il figlio assai, che il padre.


SCENA SECONDA

Carlo.

Oh nobil core! In diffidar mal dotta,

ove sei tratta?... Ma, chi vien?...