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PARERE DELL’AUTORE
SULL’ARTE COMICA IN ITALIA


Per far nascere teatro in Italia vorrebbero esser prima autori tragici e comici, poi attori, poi spettatori.

Gli autori sommi possono bensí essere impediti, ma non mai da nessun principe né accademia creati.

Quando ci saranno autori sommi, o supposto che ci siano, gli attori, ove non debbano contrastare colla fame, e recitare oggi il Brighella, e domani l’Alessandro, facilmente si formeranno a poco a poco da se, per semplice forza di natura; e senza verun altro principio della propria arte, fuorché di saper la loro parte a segno di far tutte le prove senza rammentatore; di dire adagio a segno di poter capire essi stessi, e riflettere a quel che dicono (mezzo infallibile per far capire e sentire gli uditori); ed in ultimo di saper parlare e pronunziare la lingua toscana; cosa, senza di cui ogni recita sará sempre ridicola. E, prescindendo da ogni disputa di primato d’idioma in Italia, è certo che le cose teatrali sono scritte, per quanto sa l’autore, sempre in lingua toscana; onde vogliono essere pronunziate in lingua e accento toscano. E se in Parigi un attore pronunziasse in un teatro una sola parola francese con accento provenzale o d’altra provincia, sarebbe fischiato, e non tollerato, quando anche fosse eccellente per la comica.

Gli spettatori pure si formeranno a poco a poco il gusto, e la loro critica diventerá acuta in proporzione che l’arte degli attori diventerá sottile ed esatta: e gli attori diventeranno sottili ed esatti, a misura che saranno educati, inciviliti, agiati, considerati, liberi, e d’alto animo; questo vuol dire, per prima base, non nati pezzenti, né della feccia della plebe.

Gli autori infine si perfezioneranno assai, quando, recitati da simili attori, potranno veder in teatro l’effetto per l’appunto d’ogni