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atto terzo 357



SCENA QUINTA

Egisto, Clitennestra.

Egisto Che fia? qual pianto? onde cagion novella?...

Cliten. Di pianto sí, d’eterno pianto, or godi,
nuova ho cagion: di paventar, di starti
tremante or cessa. Al fin, paghe una volta
tue brame sono; è spento al fin quel tuo
fero, crudel, terribile nemico,
che mai pertanto a te non nocque; è spento.
L’unico figlio mio piú non respira.
Egisto Che dici? Oreste spento? a te l’avviso
donde? chi l’arrecava?... Io non tel credo.
Cliten. Nol credi, no? forse, perch’ei sottratto
s’è tante volte dal tuo ferro iniquo?
Se al mio pianto nol credi, al furor mio
tu il crederai. Giá nel materno core,
tutto, sí tutto, il non mai spento affetto
mi si ridesta.
Egisto   Altra non hai tu prova,
ond’io?...
Cliten.   Ne avrai, quante il tuo core atroce
chieder ne può. Narrare a parte a parte
ti udrai l’atroce caso; e brilleratti
l’alma, in udirlo, di Tiéstea gioja.
Gente in Argo vedrai, che l’inumano
tuo desir fará sazio.
Egisto   In Argo è giunta
gente, senza ch’io ’l sappia? a me primiero
non si parlò?
Cliten.   Del non aver tu primo
entro al mio petto il crudo stile immerso,
forse ti duole? Opra pietosa tanto,
è ver, spettava a te: nuova sí grata,
a una consorte madre Egisto darla
dovea, non altri.