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atto secondo 241
ed a voi tutti, discolpar saprommi

della mentita non soffribil taccia.
Appio Cessate omai, cessate, o ch’io di legge
esecutor severo, or or vi mostro
quant’ella può. Voi vi accingete a impresa
vana omai, vana; e le insolenti grida,
a giustízia ottener d’uopo non fanno,
come a sturbarla inefficaci sono.
Icilio mente, e il proverò. — Costui,
d’ogni tumulto, d’ogni rissa il capo,
gran tempo è giá che il civil sangue anela.
Tribuno vostro, era di voi nemico,
come di noi. Distrugger prima i padri,
ingannar poi la plebe, e in vil servaggio
ridurci tutti, era il pensier suo fello:
quindi è sua rabbia in noi. Fidar vi piacque
in man de’ Dieci il fren dell’egra e afflitta
cittá: me, quanto io son voi stessi feste;
voi, di fatale empia discordia stanchi.
Rinasce appena or la bramata pace;
e a un cenno, a un motto del peggior di Roma,
a turbarla degg’io presti vedervi?
Popolo È ver; giudice egli è: ma udiam, quel prode
che gli risponda.
Icilio   È ver, giudice il feste,
legislator; ma giá compiuto è l’anno;
giudice poscia ei vi si fea per fraude;
or, per forza, tiranno. Ei noma pace
la universal viltade: atro di morte
sopor quest’è, non pace. A rivi scorre
nel campo nostro il cittadino sangue:
e chi sel beve? è l’oste forse? — Il prode
misero Siccio, ei, che nomar nel campo
osò la prisca libertá, non cadde
trafitto in pugna simulata a tergo,
dal traditor decemviral coltello?


 V. Alfieri, Tragedie - I. 16