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18 | lettera di ranieri calzabigi |
Non voglio io entrare, per non troppo dilungarmi, in questa ora sí poco nota materia, perché per dilucidarla mi converrebbe fare una dissertazione. Rammenterò solo, relativamente all’effetto che questi muti spettacoli producevano negli spettatori, i versi di Giovenale:
Cheironomon Ledam molli saltante Bathyllo, |
e quelli di Manilio, il quale d’un di questi celebri pantomimi cosí fa l’elogio:
Omnis fortunae vultum per membra reducet; |
e rimandando il curioso per piú ampie notizie agli autori sopra citati, l’avvertirò di riflettere al furore del pubblico per queste teatrali rappresentazioni; e ai partiti che insorsero cosí strepitosi e fervidi per Pilade e Batillo, e per Ila e Pilade, che Augusto si credé in dovere di reprimerli, ed altri imperatori dopo di lui.
Ma dunque, ciò che principalmente muove, agita, atterrisce, o impietosisce lo spettatore in una azione tragica teatrale, non è il parlare. Lo accennò Orazio, dicendo:
Segnius irritant animos demissa per aures, |
ma dunque, il troppo vagare nel discorso, il declamare, il dissertare nuoce all’interesse; ma dunque, evidente è che quanto piú il poeta fa ciarlare i personaggi che introduce, tanto piú si allontana dall’oggetto primario della tragedia.
E ciò essendo vero, come mi speranzo averlo provato, ne risulta evidentemente; che è difettoso ogni piano tragico, in cui troppo si ragiona, e poco si fa; che è d’uopo toglierne, per accostarsi alla perfezione dell’arte, gli ambiziosi ornamenti; e che fabbricandosi il piano medesimo, come una serie e continuazione di quadri, come ho proposto, (quadri che ristringeranno il discorso a quel poco indispensabile per caratterizzare i personaggi, e condurli in quella situazione pittoresca che ha da colpire, e efficace-