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204 antigone
giaccion, chi estinto in tomba, e chi mal vivo

in sanguinoso letto.
Creon.   A un timor vile
mi arrendo io forse? a che narrar perigli
lontani, o dubbj, o falsi? A me finora
Teséo, quel forte, non chiedea pur l’urne
de’ forti d’Argo; e non per anco io darle
negato gli ho: pria ch’ei le chiegga, io forse
suo desir preverrò. Sei pago? Tebe
riman secura; io non vo’ guerra. — Or, lascia,
che al suo destin vada costei.
Emone   Vuoi dunque
perder tuo figlio tu?... Ch’io sopravviva
a lei, né un giorno, invan lo speri. È poco
perdere il figlio; a mille danni incontro
tu vai. Giá assolta è Antigone; l’assolvi
tu col disfar tua legge. A tutti è noto
giá, che a lei sola il laccio vil tendesti.
La figlia amata de’ suoi re su infame
palco perir, Tebe vedria? di tanto
non lusingarti. Alte querele, aperte
minacce, ed armi risuonar giá s’ode;
giá dubbio...
Creon.   Or basta. — Sovra infame palco,
poiché non vuoi, Tebe perir non vegga
la figlia amata de’ suoi re. — Soldati,
la notte appena scenderá, che al campo,
lá dove giaccion gl’insepolti eroi,
costei trarrete. Omai negar la tomba
piú non dessi a persona: il gran Teséo
mel vieta: abbiala dunque, ella, che altrui
la dié; nel campo l’abbia: ivi sepolta
sia, viva...
Emone   Oh ciel! che sento? A scherno prendi
uomini e Dei cosí? Versar quí pria
tutto t’è d’uopo del tuo figlio il sangue.