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12 | lettera di ranieri calzabigi |
Se ancora (per mostrare che non siamo ingiusti a segno di fissarci ad un esempio solo) ponderiamo come parla in Britannico quel mostro di Nerone, ci confermeremo in ciò che ho assunto di dimostrare. Nerone è conosciuto, mercé a Tacito e a Svetonio, è conosciuto, dico, a’ giorni nostri, quanto lo fu in Roma durante il suo abbominevole regno. Nel Britannico noi lo troviamo a ciarlare per cento sessanta versi con quella immaginaria Giunia, introdotta per compiacere le dame galanti della Corte. Colla stessa galanteria si spiega l’ostinato Mitridate,
Adversis rerum immersabilis undis, |
colla sventurata Monima. Nello stesso venusto stile parla il turco Bajazette a Attalide; collo stesso anche il nemico d’amore, il semisalvatico Ippolito alla favolosa Aricia; col medesimo vezzo lo sdolcinato Tito alla sua fedel Berenice. Si rileggano quelle tragedie; e non sarò accusato di malignitá nell’impegno che ho di far vedere, che tutti gli eroi delle tragedie francesi sono vestiti d’un colore.
Meno teneri e meno spasimanti sono per verità quelli di Corneille. L’ingegno suo era più sollevato: troppo pieno di grandiose
ardori avvelenati. Forse quelli della veste di Deianira a Ercole, o di Medea a Creusa? Avrebbe dovuto discolpare il concetto che tanto è osservabile negli ultimi due versi, ne’ quali con un giochetto di parole scherza il poeta fra questi avvelenati ardori, e il core agghiacciato dal freddo degli anni. Una tal freddura li degrada, a mio credere. Se si unisca all’altra di quel citato verso di Pirro nell’Andromaca:
Brûlé de plus de feux que je n’en allumai; |
ed a qualche altra ancora che trovar potrei in Racine; pare, che avrebbe dovuto trattenere i Francesi dall’imputare con tanto disprezzo il difetto dei concetti al Tasso nostro, e di chiamare clinquant la sua poesia immortale, in parola del niente pittor-poeta Boileau. Sfido chiunque di trovare due freddure più solenni di queste in tutta la Gerusalemme liberata.
Se questa moderazione avessero avuta i Francesi (come a vero dire l’ebbe spesso il sublime Voltaire) non si meriterebbero quel rimprovero Oraziano:
Cum tua pervideas oculis mala lippus inunctis, |
Questi piccoli difetti punto non scemano la mia somma ammirazione per il gran Racine. Ma qualora s’abbiano a citare de’ versi di qualche poeta, convien farlo con avvedutezza, per non esporsi a riprensione. Io di Racine appunto voglio qui citarne alcuni, che sorpassano quanto di più poetico, di più pittoresco, di più animato si