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ATTO QUINTO

SCENA PRIMA

Giocasta.

Antigone non torna. — Oh dura forza,

che quí rattiemmi! Io palpitante, e sola,
udir da lunge lo stridor feroce
deggio dell’empia pugna? e attender deggio
la compiuta esecrabile vendetta?...
Ahi vile! io vivo ancora? e ancora spero? —
Che sperar? nulla spero: ah! l’abborrito
mio viver, forza è del destin, che vuolmi
del fratricidio a parte pria, poi morta.
Misfatto in Tebe a farsi altro non resta;
e nol vedria Giocasta? — O voi, di Tebe
sovrani arbitri; o voi, d’Averno Numi,
che piú tardate a spalancar gl’immensi
abissi vostri, ed ingojarne? Io forse,
non son io quella, che al figliuol mio diedi
figli, e fratelli?... Ed essi, quegli infami,
ch’or bevon l’un dell’altro in campo il sangue,
frutto non son d’orrido incesto? Ah! tutti
siam cosa vostra; tutti. — Oh non piú inteso
fero martíre! io tutti in me gli affetti
sento di madre, e d’esser madre abborro. —
Ma, che sará?... Subitamente in campo
il fragor cupo dell’armi cessò...
Al suon tremendo un silenzio tremendo