Pagina:Alfieri, Vittorio – Tragedie, Vol. I, 1946 – BEIC 1727075.djvu/138

132 polinice
i guerrier miei? giá non saria men vero,

che se il fratello cede, al timor cede,
non al mio dritto. Or, qual v’avria guadagno
pel suo superbo onore? Ei lunge (il credi)
la forza vuol, perché sol forza il doma.
Gioc. E tu adoprarla vuoi, perché ti assolve
la forza poi da ogni altro patto.
Polin.   O madre,
sí mal conosci i figli tuoi? — Ben sai;
nasceamo appena, e mi abborria ’l fratello:
nell’odio ei crebbe; e in lui dentro ogni vena
l’odio col sangue scorre. È ver, non l’amo;
che amar chi t’odia, ell’è impossibil cosa;
ma nuocergli non vo’; pur ch’io non paja
soffrir suoi scherni, e Grecia non mi vegga
vil sostener tacendo oltraggi tanti.
Gioc. Odi virtú! Pregiar Grecia ti debbe,
perché al fratel di te peggior non cedi? —
Sublime fin d’ogni tuo voto è dunque
di Tebe il trono? Oh! non sai tu, che in Tebe
sommo infortunio è il trono? Il pensier volgi
agli avi tuoi: qual ebbe in Tebe scettro,
e non delitti? Illustre certo è il seggio,
dove Edippo sedea. Temi tu forse,
non sappia il mondo ch’ebbe figli Edippo? —
Virtude hai tu? lascia a’ spergiuri il trono.
Vuoi tu vendetta del fratel? ch’ei venga
in odio a Tebe, a Grecia, al mondo, ai Numi?
Lascia ch’ei regni. — Anch’io, sul soglio nata,
miseri giorni infra sue pompe vane,
giorni di pianto, ogni piú oscuro stato
invidíando, io trassi. — Oh fero trono!
Ch’altro sei tu, che un’ingiustizia antica,
ognor sofferta, e piú abborrita ognora?
Mai non t’avess’io avuto, onor funesto!
Ch’io non sarei madre or d’Edippo, e moglie;