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i. della tirannide
 



ordire e spingere una alta e giovevol congiura, il cui fine debba essere la vera politica libertá, non la imprenda giammai se non se dopo moltissimi universali oltraggi fatti dal tiranno, e immediatamente dopo una qualche atroce privata vendetta contr’essi, felicemente eseguita da uno dei gravemente oltraggiati. E cosí, chi si sente davvero capace di solennemente vendicare un proprio privato importantissimo oltraggio, senza cercarsi compagni, altamente e pienamente lo vendichi, e lasci poscia ordir la congiura da chi vien dopo; che s’ella riesce a buon fine, l’onore ne sará pur sempre in gran parte anche suo; bench’egli rimanesse spento giá prima; e se la pubblica consecutiva congiura poi non riesce, tanto maggiore ne risulterá a lui privato la gloria e la maraviglia degli uomini, che vedranno la sua privata congiura aver da lui solo ottenuto un pienissimo effetto.

Ma le congiure, ancor ch’elle riescano, hanno per lo piú funestissime conseguenze; perché elle si fanno quasi sempre contro al tiranno e non contro la tirannide. Onde, per vendicare una privata ingiuria, si moltiplicano senza alcun pro gl’infelici; e o sia che il tiranno ne scampi, o sia che un nuovo gli succeda, si viene ad ogni modo per quella privata vendetta a centuplicar la tirannide e la pubblica calamitá.

Quell’uomo adunque, che dal tiranno riceve una mortale ingiuria nel sangue o nell’onore, si dée figurare che il tiranno lo abbia condannato inevitabilmente a morire; ma che nella impossibilitá in cui egli è di scamparne, gli rimane pure la intera possibilitá di vendicarsene prima e di non morir quindi infame del tutto. Né altro egli deve pensare in quel punto, se non che, tra i precetti del tiranno, il primo e il solo non mai trasgredito da lui si è di vendicarsi di quelli che ha offeso egli stesso. Sia dunque il primo precetto, di chi piú gravemente è stato offeso da lui, il prevenire a ogni costo con la sua giusta vendetta la non giusta e feroce d’altrui.