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libro i - capitolo xviii
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Capitolo Decimottavo

Delle tirannidi ampie paragonate colle ristrette.

Che siano piú orgogliosi e superbi i tiranni delle estese tirannidi, come assai piú potenti, la intendo; ma che gli schiavi delle estese tirannidi ardiscano reputarsi da piú che gli schiavi delle ristrette, parmi esser questo il piú espresso delirio che possa entrare nella mente dell’uomo; ed una evidentissima prova mi pare che gli schiavi non pensano e non ragionano. Se la ragione potesse ammettere alcuna differenza fra schiavo e schiavo, ella sarebbe certamente in favore del minor gregge. Quanti piú sono gli uomini che ciecamente obbediscono ad un solo, tanto piú vili e stupidi ed infami riputare si debbono, vie piú sempre scemandosi la proporzione tra l’oppressore e gli oppressi. Quindi nell’udire io le millanterie d’un francese o d’uno spagnuolo, che riputar si vorrebbe un ente maggiore di un portoghese o di un napoletano, parmi di udire una pecora del regio armento schernire la pecora d’un contadino, perché questa pasce in una mandra di dieci ed ella in una mandra di mille.

Se dunque differenza alcuna vi passa fra le tirannidi grandi e le picciole, ella non istá nella essenza della cosa, che una sola è per tutto, ma nella persona bensí del tiranno. Qualunque di essi si troverá soverchiare oltremodo in potenza i vicini tiranni, ne diverrá verisimilmente piú prepotente coi sudditi, dovendo egli, nelle sue ampie circostanze, molto minori rispetti adoprare: ma per altra parte, avendo egli piú numero di sudditi, piú importanti affari, piú onori da distribuire, piú ricchezze da pigliarsi e da dare (e non avendo con tutto ciò maggior senno), quella sua autoritá riuscirá alquanto men fastidiosa nelle cose minute, ma egualmente inetta ed assai piú gravosa nelle importanti. Il tiranno picciolo, dovendo all’incontro usare infiniti rispetti co’ suoi vicini, sforzato sará di rimbalzo ad osservarne anche qualcuno piú co’ suoi sudditi: onde egli