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le triste loro circostanze al servire, non si possono, senza tradirgli, educare al pensare; ma, nati pur sempre per natura al pensare, non può lo sventurato padre, senza tradire la veritá, il suo onore e se stesso, educargli al servire.
Qual partito rimane adunque nella tirannide all’uomo pensante, quando egli, per somma sfortuna e inescusabile sconsideratezza, ha dato pur l’essere ad altri infelici? È di tal sorta l’errore che il pentimento non vale; cosí terribili ne sono gli effetti e cosí inevitabili che le vie di mezzo non bastano. Bisognerebbe dunque nelle tirannidi o soffocare i propri figliuoli appena nati, o abbandonargli alla pubblica educazione ed al volgar non-pensare. Questo partito da quasi tutti i moderni padri si siegue, e non è men crudele dell’altro, ma molto e piú vile bensí. E a chi mi dicesse (ciò che anch’io pur troppo so, ancorch’io padre non sia) che troppo alla natura ripugna il trucidare i propri figliuoli, risponderei che ripugna alla natura nostra non meno il ciecamente servire all’arbitrio e alla violenza d’un solo; e se poi cosí bene al servir ci avvezziamo, questo infame pregio in noi non si accresce, se non se in proporzione che si scemano in noi tutti gli altri naturali e veri pregi dell’uomo. Quindi è che i filosofi pensatori fra i popoli liberi nessuna differenza, o pochissima, han posto infra la vita d’un bruto e quella d’un uomo, che non sia per aver mai libertá, volontá, sicurezza, costumi ed onore verace. E tali pur troppo debbono riuscire quei figli che stoltamente procreati si sono nella tirannide; a cui se il padre non toglie la vita del corpo, necessariamente toglie loro una piú nobile vita, quella dell’intelletto e dell’animo; ovvero, se sventuratamente l’una e l’altra in essi del pari coltiva, altro non fa un tal misero padre che educar vittime per la tirannide.
Conchiudo che chi ha moglie e prole nella tirannide, tante piú volte è replicatamente schiavo e avvilito, quanti piú sono gl’individui per cui egli è sforzato sempre a tremare.