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Capitolo Decimoquarto
Della moglie e prole nella tirannide.
Come in un mostruoso governo, dove niun uomo vive sicuro né del suo né di se stesso, ve ne siano pure alcuni che ardiscano scegliere una compagna della propria infelicitá, e perpetuare ardiscano la propria e l’altrui servitú col procrearvi dei figli, difficil cosa è ad intendersi ragionando; ed impossibile parrebbe a credersi, se tutto dí no ’l vedessimo. Dovendone addur le ragioni, direi che la natura, in ciò piú possente ancora che non è la tirannide, spinge gl’individui ad abbracciar questo coniugale stato con una forza piú efficace di quella con cui la tirannide da esso gli stoglie. E non volendo io ora distinguere se non in due soli ceti questi uomini soggiogati da un tale governo, cioè in poveri e ricchi, direi che si ammogliano nella tirannide i ricchi, per una loro stolta persuasione che la stirpe loro, ancorché inutilissima al mondo e spesso ancora oscura, vi riesca nondimeno necessaria, e gran parte del di lui ornamento componga; i poveri, perché nulla sanno, nulla pensano e in nulla possono oramai peggiorare il loro infelicissimo stato.
Lascio per ora da parte i poveri; non giá perché sprezzabili siano, ma perché ad essi nuoce assai meno il far come fanno. Parlerò espressamente de’ ricchi; non per altra ragione, se non perché essendo, o dovendo costoro essere meglio educati; avendo essi in qualche picciola parte conservato il diritto di riflettere; e non potendo quindi non sentire la lor servitú; debbono i ricchi, quando non siano del tutto stolidi, moltissimo riflettere alle conseguenze del pigliar moglie nella tirannide. E per fare una distinzione meno spiacente, o meno oltraggiosa per gli uomini che non è quella di poveri e ricchi, la farò tra gli enti pensanti ed i non pensanti. Dico dunque che chi pensa, e può campare senza guadagnarsi il vitto, non dée mai pigliar