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libro i - capitolo xi
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studia e ne conosce piú l’indole, i vizi e la nullitá. Si aggiunga a questa ragione, il bisogno che il tiranno ancora pur crede di avere talvolta dei nobili; e da questo tutto si verrá facilmente ad intendere quell’innato odio contr’essi che sta nel cuor del tiranno; il quale non può né dée voler che si pensi; né può, molto meno, aggradire chiunque lo spia e conosce. Nasce da questo intrinseco odio quella pompa di popolaritá, che molti dei moderni tiranni europèi van facendo; come anche le tante mortificazioni che vanno compartendo ai lor nobili. Il popolo, soddisfatto di vedere abbassati i suoi signorotti, ne sopporta piú volentieri il comune oppressore e la divisa oppressione. I nobili rodono la catena; ma troppo corrotti, effemminati e deboli sono per romperla. Il tiranno se ne sta fra’ due, distribuendo ad entrambi a vicenda, frammiste a molte battiture, alcune fallaci dolcezze; e cosí vie piú sempre corrobora egli e perpetua la tirannide. Non distrugge egli i nobili, se non se a minuto i piú antichi, per riprocrearne dei nuovi, non meno orgogliosi col popolo, ma piú soggetti e arrendevoli a lui; e non li distrugge il tiranno perché li crede (ed il sono) essenzialissima parte della tirannide. Non li teme, perch’egli è armato; non gli stima, perché li conosce; non gli ama, perché lo conoscono. Il popolo non mormora dei gravosi eserciti, perch’egli non ragiona, e ne trema; ma con molta gioia bensí per via degli eserciti vede i nobili starsi non meno soggetti e tremanti di lui.

I nobili ereditari son dunque una parte integrante della tirannide, perché non può allignar lungamente libertá vera dove esiste una classe primeggiante, che tale non sia per virtú ed elezione. Ma la milizia perpetua, fattasi oramai parte della tirannide, piú integrante ancora di quel che lo sia la nobiltá, ha tolto ai nobili la possibilitá di far fronte al tiranno e diminuita in loro quella di opprimere il popolo.