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prova, non giá ch’egli sia veramente stimabile, ma che il tiranno
lo stima; e perché egli spera non giá che il popolo l’onori, ma
che lo rispetti e lo tema. Nella repubblica, manifesta e non
dubbia cosa è per qual ragione gli onori si cerchino: perché
veramente onorano chi li riceve.
L’ambizione d’arricchire, chiamata più propriamente, «cupidigia», non può aver luogo nelle repubbliche, fin ch’elle corrotte non sono: e quando anche il siano, i mezzi per arrichirvi essendo principalmente la guerra, il commercio, e non mai la depredazione impunita del pubblico erario, ancorché il guadagno sia uno scopo per se stesso vilissimo, nondimeno per questi due mezzi egli viene ad essere la ricompensa di due sublimi virtú: il coraggio e la fede. L’ambizione d’arricchire è la piú universale nelle tirannidi; e quanto elle sono piú ricche ed estese, tanto piú facile a soddisfarsi, per vie non leggittime, da chiunque vi maneggia danaro del pubblico. Oltre questo, molti altri mezzi se ne trovano; e altrettanti esser sogliono quanto sono i vizi del tiranno e di chi lo governa.
Lo scopo che si propongono gli uomini nello straricchire è vizioso nell’uno e nell’altro governo; e piú ancora nelle repubbliche che nelle tirannidi; perché in quelle si cercano le ricchezze eccessive, o per corrompere i cittadini, o per soverchiar l’uguaglianza; in queste, per godersele nei vizi e nel lusso. Con tutto ciò, mi pare pur sempre assai piú escusabile l’aviditá di acquistare, in quei governi dove i mezzi ne son men vili, dove l’acquistato è sicuro e dove in somma lo scopo (ancorché piú reo) può essere almeno piú grande. In vece che nei governi assoluti, quelle ricchezze che sono il frutto di mille brighe, di mille iniquitá e viltá e dell’assoluto capriccio di un solo, possono essere in un momento ritolte da altre simile brighe, iniquitá e viltá, o dal capriccio stesso che giá le dava o che rapire lasciavale.
Parmi d’aver parlato di ogni sorta d’ambizione che allignare possa nella tirannide. Conchiudo che questa stessa passione, che è stata e può essere la vita dei liberi stati, la piú esecrabil peste si fa dei non liberi