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riposando, piú a goderne pensava che a porne con sollecitudine in salvo il migliore, insistendo, incalzandoti e anche, bisognando, amichevolmente sforzandoti a scrivere per tutti e per me, in vece di parlar per me solo; poiché tu con ogni altro uomo quasi del tutto chiuso vivevi. Di questa mia inescusabile sconsideratezza e notte e giorno piango io; questa è, sol questa, la verace tua morte che me addolora e dispera; questo è il fiero irreparabile comune e mio danno che mi martíra. Te sfuggito e sottratto alle noie, al servire, al tremare, alla vecchiezza, alle infermitá e piú di tutto al dolore immenso e continuo di conoscere il bene ed il grande, e non poterlo né ritrovar né eseguire, te invidio bensí ma te non compiango giammai.
Francesco. Venendo io dalla magione del disinganno, potrei su questo umano delirio, che amor di fama si appella, dirti e dimostrarti tai cose che non solo ti consolerebbero di questa tua ideale mia fama, da me non acquistata, (né acquistabile mai) ma ad un tempo istesso ti trarrebbero forse del cuore l’ardentissimo desiderio che della tua propria tu nutri nel petto.
Ma cessi il cielo, che cosí dolce ed utile chimera io voglia giammai negli umani petti né pur menomare, non che distruggerla. Cagione essa sola d’ogni umana bell’opera, sovra chi piú è nato ad intraprendere ed eseguire il bello, piú dispotica regni. E pur troppo giá di essa il moderno pensare è nemico; e quindi la sempre maggiore scarsezza d’uomini grandi, e di alte cose.
Non biasimo dunque in te, né mi offende, questo amorevole tuo rammarico che della intera mia nullitá mi dimostri; e, se a rivivere avessi, per compiacerti e darti indubitabile prova che la tua stima mi sarebbe caldo incentivo al ben fare, mi proverei in quale stadio potessi atleta riuscire. Posso io piú espressamente teco ricredermi della passata mia infingardaggine?
Vittorio. Questo tardo tuo pentimento e la ragione che vi ti muove vieppiú sempre mi accorano. Or sappi che cercando io, non sollievo, ma pascolo al mio dolore colla tua