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Interlocutori: Francesco Gori, Vittorio Alfieri.

Vittorio. Qual voce, quale improvvisa e viva voce dal profondo sonno mi appella e mi trae? Ma che veggio? al fosco e muto ardere della notturna mia lampada un raggiante infuocato chiarore si è aggiunto! Soavissimo odore per tutta la cameretta diffondesi... Son io, son io ben desto, o in dolce sogno rapito?

Francesco. E che? non conosci la voce, l’aspetto non vedi del giá dolce tuo amico del cuore e dell’animo?

Vittorio. Oh vista! e fia vero? gli attoniti abbagliati miei occhi a gran pena in cotanta tua luce fissarti si attentano... Ma sì, tu sei desso; quella tua voce che, quand’eri mortale, amistade e virtú mi suonava, rispetto or m’infonde e con dolcezza misto uno ignoto tremore.

Francesco. Riconfortati. Dagli Elisi vengo io a rivederti, consolarti ed alquanto star teco; dalle tue sí spesse lagrime e sospiri giá ben due anni chiamato, ora, concedendolo il fato, alfin mi rivedi.

Vittorio. A gran pena i miei sensi ripiglio. — Ma giá giá quel timore che di maraviglia nasceva dileguasi; ed al tuo caro e sospirato cospetto non può nel mio core albergar piú temenza.

Assai cose mi rimaneano a dirti e ad udire da te, quando (ahi lasso me!) per poche settimane lasciarti credendomi, senza saperlo, io l’ultimo abbraccio ti dava. Desolato io ed orbo mi sono da quel giorno funesto; né altra scorta al ben vivere ed