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iii. panegirico
 



oramai né l’ombra pure di un soldato; i cittadini vi moltiplicano in folla; e se Roma ha nemici, soldati son tutti e la salvano; ma se ha Roma un tiranno, cittadini son tutti, e lo spengono.

Giá giá questa Roma seconda, in virtú alla primiera agguagliandosi, nella felicitá e fama l’avanza. E di una tanta virtú, di cosí lieto vivere, di chiarezza sí luminosa, di un nome sí venerando e terribile, piú che il restitutore, il novel creatore è Traiano. Non Romolo col fondar la cittá, poiché libera intieramente non la lasciava; non Bruto col cacciarne i tiranni, poich’egli a se stesso signoria nessuna non ritoglieva, anzi, insieme con la propria e pubblica libertá, eminenza di grado ad un tempo a sé procacciava; non i tanti e tanti altri nostri eroi cittadini col servire, difendere ed accrescere Roma, perché ai doveri di cittadino col latte succhiati soddisfaceano; nessuno, per certo, di questi agguagliare si potrá mai a Traiano: a Traiano, che di assoluto padrone di essa, se ne facea spontaneamente cittadino, che di schiava ch’ella era, in libertá la tornava; che di avvilita grande, di contaminata pura, di viziosa in somma, rea, scellerata, ed infame, la trasmutava in giusta, costumata, e d’ogni alta virtú vivo specchio ed esempio.

Traiano, nato tremante e non libero, sotto all’impero di Claudio; sfuggito per miracoloso volere dei numi alla persecutrice crudeltá dei susseguenti tiranni, e pervenuto finalmente d’impero, avendo egli per propria esperienza, nell’orribile stato di assoluta signoria, conosciuto non meno i timori e l’incertezza e l’impossibilitá di esercitar la virtú in chi serve, che i timori, i rimorsi e la viltá di chi assoluto comanda; Traiano sceglieva, come piú nobile e piú sicura e sola dignitá veramente orrevole d’uomo, di farsi e di essere «cittadino di Roma». E, per esserlo egli con securtá e diletto, un tanto bene a tutti gli uomini del romano imperio viventi, e nei futuri tempi ai piú lontani nepoti, sotto custodia di ben restituite leggi, assicurava.