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vita di Roma non si dée né affidare, né riporre in un solo. Traiano sa e vede che il potere uno piú di tutti, senza che tutti, ove egli ingiustamente voglia, contra quell’uno difender si possano, ella è cosa contraria al retto, alla felicitá, al buon ordine, alla natura. Né mai vien creato quest’uno, se non dal delirio di tutti e dal guasto loro animo, o per l’arte e fraude di esso; né mai mantenuto vien egli, se non dal timore di tutti o dei molti, o dalla usurpata eccessiva forza di lui.
Ed in prova, il console, legittimo principe, eletto, ed a tempo, di dodici littori soltanto, piú a pompa che a difesa, muniva la propria persona e dignitá; l’imperatore perpetuo ed unico, creato non mai dal volere di tutti, figlio non delle leggi, ma della forza, l’imperatore munisce e corrobora con gli eserciti interi la illegittima autoritá non ben sua; e dietro essi difende la sua tremante odiosa persona. I consoli, venerati sempre; stimati, se il meritavano; temuti, ma non piú delle leggi; mai non si udiva che uccisi, altro che in battaglia per mano dei nemici, cadessero: gl’imperatori, o barbaramente svenati dagli stessi loro eserciti, o giustamente dagli adirati e oppressi lor cittadini, ben ampia fede ne fanno che l’assoluto e perpetuo potere di un solo, non è mai legittimo, poiché la forza sola il mantiene; e che sopportabile non è lungamente egli mai, poiché il giusto furore che di tempo in tempo negli animi di chi vi soggiace si va riaccendendo, mal grado il timore e la forza, lo abbatte pure e distrugge.
IX
Ecco dunque, ecco al tacer degli eserciti, rivivere, rifiorire la libertá. Ecco disperdersi quelle folte nubi d’armati che Roma ingombrando, incutono pure, ancor che il principe nol voglia, un fiero timore nel cuore dei cittadini; e dal timore virtú nessuna giammai. Ecco Traiano, che d’imperatore fattosi cittadino, le pretoriane coorti in un piú gradito, nobile e dignitoso
V. Alfieri, Opere - iv. | 18 |