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iii. panegirico
 



debbe essersi giá manifestato aver egli di cittadino vero, e non di principe, l’animo. Tale tu sei, o egregio Traiano; tal ti mostrasti, ed in pubblico a Roma, ed a’ tuoi ben affetti, tra’ quali me non disdegni, in privato. Tuo primo e solo e piú intenso desiderio egli è il far Roma felice, grande, tranquilla e sicura; ciò chiaramente, in una sola parola vuol dire il farla per sempre «libera». Interprete io a te dei tuoi stessi pensieri, non ti richieggo giá di compiacere a noi tutti, ma di soddisfar pienamente a te stesso. Cagione dunque primiera di far sí grand’atto, parmi averti dimostrato chiaramente essere non meno che la tua vera grandezza, la tua possanza e gloria. Né giá perché io creda che alla repubblica te stesso anteponessi tu mai, ti ho voluto assegnare per prima cagione l’utile privato tuo; ma per dimostrarti alla faccia di Roma, che tale e tanto è l’affetto che da essa acquistato nel governarla ti sei, che Roma nessuna felicitá sua in conto alcuno terrebbe, se, prima che ad essa, vantaggio, grandezza ed eterna fama ridondare non ne dovesse a Traiano.

IV

Dai meriti nostri vive cagioni ritrarre, per cui indurre ti debbi a restituirne libertá, non mi sará cosí lieve. Ma pure, prima, e potentissima cagione sia, e da bastar quasi sola, il desiderarla ardentemente noi tutti; possente ragione per meritarla. E non creder tu giá che io, nel dir libertá, altro intendere presuma fuorché di sempre obbedire a Traiano, cioè alle leggi, di cui egli sará osservatore e difensore; ma che, cessando egli poi, possono nella persona di un altro, potente quant’esso, un sovvertitore incontrare. Gli animi nostri adunque prontissimi sono a libertá ricevere ed, ottenuta, a difenderla. Di ciò ti facciano piena fede le tante e sí spesse congiure contro i passati principi; le tante volontarie morti di chiari e potenti cittadini, di vita sfuggiti soltanto per involarsi alla insopportabil tirannide; l’acerbo odio del nome di re da ogni romano, fino