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di plinio a traiano
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pur volea, possente ritegno alla inopportuna clemenza gli doveano essere tuttavia le tante e sí atroci ingiurie che ben prevedea doversi poi fare alla desolata repubblica, da Domiziano in possanza salito. Una fraterna inopportuna pietade era dunque cagione dell’ultimo e quasi intero eccidio di Roma. Felice te, o Traiano, che congiunti non hai! che figli, parenti, ogni piú cara cosa, nella sola repubblica conti! Nessuna ingiustizia, nessuna crudeltá ti fa d’uopo per isgombrar questo soglio. Ciò che dal divino Nerva, non come parente suo, non come amico, non come laudatore, ma come ottimo fra i buoni, per l’avvedutissimo suo discernimento, ottenesti, tu rendere il puoi a chi spetta; tu, col cessare di comandare assolutamente ad uomini nati tuoi pari, incominciar potrai oggi a farti veramente, e per sempre, maggior di loro in chiarezza, in fama, in virtú. Né dubitar tu potresti di non avere pur molto accresciuto il tuo lustro, e migliorato il tuo essere; poiché, libero cittadino facendoti, tanto piú in pregio e la tua e la nostra libertá ti dev’essere, quanto ne sarai stato tu stesso, tu solo, tu primo, il verace magnanimo creatore; e, se in Roma non è spenta del tutto la memoria di Roma, ognun di noi sa che libero, cittadino, e romano, tre nomi sono a cui nulla si agguaglia, nulla si aggiunge; e che al posseditore di essi l’odioso nome o possanza di re, infamia bensí e vergogna e pericoli e danni può procacciare, ma non gloria mai né splendore. Quanto piú a grado ti riuscirá la venerazione nostra, l’obbedienza, l’amore, la gratitudine, se tu pervieni a disgombrar la tua mente da quel funesto pensiero che, infino che l’assoluto comando tu serbi, dubitar sempre e giustamente ti lascia, se a te, o alla potenza tua, ossequio sí sterminato tributasi! Ad alta, ma a certa prova tu metti e Roma e te stesso.

Né io, per consigliarti un cosí magnanimo atto, alcuna particolar gloria a me stesso procaccio; né un atomo pure della tua ne detraggo. Il mio pensiero è il pensiero di tutti; l’ardirtelo esporre non è del mio coraggio la prova, ma della virtú di Traiano sublime. Un principe a cui si osa proporre di estirpar da radice il principato, assai apertamente e generosamente pur

V. Alfieri, Opere - iv. 17