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di plinio a traiano
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brevemente toccar le ragioni per cui, parte dal loro mal animo, parte dalla necessitá e corruzione dei tempi, furono i primi fondatori della tirannide nostra indotti a distruggere la repubblica; tanto in ciò piú crudeli, che, quasi a scherno dei miseri cittadini, lasciando le apparenze ed i nomi di libero governo, afflissero poi la cittá di tutti gli orribili flagelli che ai piú vili e servi uomini toccato sia di sopportare pur mai.

Le inimicizie tra la plebe e il senato, cagioni ad un tempo della nostra crescente virtú e grandezza, furono poi, oltre la mole troppa della potenza nostra, la cagion principale della rovina. Mario e Silla, funesti nomi alla romana grandezza e felicitá, furono quelli che delle forze romane, terrore giá un dí degl’inimici di Roma, si valsero a spaventare, stravolgere, insanguinare e distruggere Roma stessa. Cagione glien diedero i nostri vizi ed i loro; pretesto, le inimicizie nostre e fazioni; mezzo, i numerosi eserciti che a cosí sterminato imperio difendere necessari erano divenuti pur troppo. Ma questi eserciti erano pure composti altre volte di cittadini romani; e tali furono finché, scellerati disegni nell’animo dei lor capitani non entrando, li vollero soltanto a Roma fedeli, ed ai nemici terribili.

Pure la spirante repubblica un bello e magnanimo esempio di romana grandezza vide ancora ed ammirò, in quel Silla stesso che l’avea di lutto, di tremore e di sangue riempiuta. La dittatura rinunziata e la cittadinanza (benché superbamente) ripresa collocarono Silla, e tuttora lo lasciano, infra i tiranni tutti il piú grande. Un assoluto imperio legittimo (se legittimo v’ha) rinunziato spontaneamente; un popolo ricondotto a costumi, a splendore, a virtú, a libertá, assegneranno al ristauratore di essa, e al distruttore della propria tirannide, il primo luogo, non che fra i principi, ma fra gli uomini tutti i piú liberi, i piú virtuosi, i piú magnanimi. Di Cesare non parlo; maturo era allora il nostro servire, e dovendo pur Roma per poco tempo esser serva, nol potea con minore infamia, che a Cesare. Degno era forse Pompeo di difenderla, se tenuto il mondo intero non avesse in un dubbio, niente per lui onorevole, qual cosa anteponesse egli, la repubblica o se stesso.