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ii. del principe e delle lettere
 



che, al rendere eterni i nomi dei guerrieri estinti per la patria, varranno più assai che le statue e i bronzi; ed a premiare la vera virtú dei rimanenti liberatori della patria, le eccellenti ed eterne poesie di ben altra possanza saranno che i fragili infamanti onori e le viziose ricchezze, con cui possono i principi pagare soltanto gli oppressori di essa.

Cosí finalmente, i filosofi di qualunque genere e sètta, liberamente scrivendo, e senza nessuno timido velo, la veritá, o quello che crederanno esser tale, potranno, anche ingannandosi, giovar nondimeno moltissimo: che nessuna veritá mai, né morale né fisica, non è nata né può nascere e dimostrarsi, se ella dal grembo di cento errori non sorge. Ma niuno errore è mai stato, né esser può piú fatale a una societá d’uomini, che quello di non cercar sempre la veritá, di porre ostacoli a chi ne va in traccia, e di premiare chi la nasconde o falsifica.

Ecco dunque, quali esser potranno le lettere in questi moderni tempi, ogniqualvolta maneggiate elle vengano da liberi ingegni in terra di libertá rifugiati; e ogniqualvolta coltivate, accolte e tacitamente propagate elle vengano da ingegni liberi, ancorché costretti dal peso del principato. Il sublime fine che dalle lettere cosí maneggiate ed accolte ne ridonderebbe col tempo, facil cosa è l’antivederlo: ne risulterebbe senza dubbio, ed in breve, la intera conoscenza, e la severa pratica delle vere politiche virtú: il che chiaramente vuol dir libertá.

Capitolo Nono

Quale riuscirebbe un secolo letterario che, sfuggito non meno alla protezione che alla persecuzione di ogni principe, non venisse quindi a contaminarsi col nome di nessuno di essi.

Grande e singolar gloria dei greci ella è che il loro bel secolo letterario porta il nome di secolo di Atene, e non di Pisistrato, né di Alessandro, né di Pericle stesso; ancorché la moderna letteraria viltá abbia pure voluto in ciò assomigliare