Pagina:Alfieri, Vittorio – Della tirannide, 1927 – BEIC 1725873.djvu/231

 
libro iii - capitolo viii
225



aggiuntovi lo stare lontani sempre dal principe, (lontananza, che quanto ai lumi dei nobili viene ad essere il sommo dei libri); il solo Tacito, dico, è piú che bastante per sé a ben educare una privata societá di profondissimi e giustissimi pensatori. Una tal societá, a poco a poco propagandosi con irresistibile progresso, dev’essere a lungo andare la vera legittima e vittoriosa annullatrice d’ogni arbitraria podestá. Al continuo esempio di virtú e d’indipendenza che hanno questi nobili letterati nel principato, si va aggiungendo di tempo in tempo il possente rinforzo dei pochi, ma buoni e caldi ed incalzanti libri che gli scrittori esiliatisi dal principato v’inviano a far per loro e per tutti: e benché corra il proverbio che ogni cosa è oramai stata detta, potranno pure smentirlo quei tali scrittori che sono da giusta e nobile ira spronati contro la servitú in cui nasceano, e che incoraggiti e protetti sono dalla libertá in cui sapeano in tempo ricovrarsi. Costoro certamente o diranno piú del giá detto, o in maniere nuove affatto il diranno; e con eleganza scriveranno costoro, perché la eleganza aveano potuta imparare e gustare, come non proibita cosa, nella loro pristina servitú; ma con forza, libertá e veritá scriveranno puranche, perché di schiavi che nati erano, avuto aveano il coraggio di farsi uomini cittadini; e in somma, sublimi scrittori saranno, perché dal loro sublime e natural loro impulso sforzati erano a divenire scrittori.

Quindi allora il veramente epico poeta, che in sublimi versi una impresa veramente sublime piglierá a descrivere, sceglierá certamente piuttosto di cantare la liberazione di Roma da Bruto che quella di Gerusalemme da Goffredo. Con questa scelta, verrebbe egli a vendicare da prima l’onore dell’arte sua; perché dei sommi epici poeti, nessuno finora ha tolto argomento da popoli liberi, se non in parte Omero, a chi considera quei greci come molti popoli spontaneamente riuniti. Ma, quanto maggior grandezza ne ridonderebbe ad un tema, di cui, in vece di Agamennone re, fosse anima e capo un Scipion cittadino? Sarebbe, ad egual eccellenza, di tanto superiore un tale poema, di quanto ad ogni altro popolo fu superiore il romano. Ma Scipione, cantato da Ennio «con ruvido carme» di lingua ancor non perfetta,

V. Alfieri, Opere - iv. 15