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libro i - capitolo iii
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sí fattamente diversi da quelli; ma nessuno ci insegna in qual modo si possano dominare il caso e le circostanze, né fino a qual punto questa diversitá intendere e tollerare si debba. Si affaticano per altra parte i tiranni, e i loro tanti fautori piú vili di essi, nel persuaderci che noi non siamo piú di quella generosa specie antica. E, certo, finché sopportiamo il loro giogo tacendo, ella è quasi minore infamia per noi il credere piuttosto in ciò ai tiranni che non ai moderni scrittori.

Tutti dunque, e buoni e cattivi, e dotti e ignoranti, e pensatori e stupidi, e prodi e codardi; tutti, qual piú qual meno, tremiamo nella tirannide. E questa è per certo la vera universale efficacissima molla di un tal governo, e questo è il solo legame che tiene i sudditi col tiranno.

Si esamini ora se il timor del tiranno sia parimente la molla del suo governare, e il legame che lo tiene coi sudditi. Costui, vede per lo piú gli infiniti abusi dello informe suo reggere; ne conosce i vizi, i principi destruttivi, le ingiustizie, le rapine, le oppressioni e tutti in somma i tanti gravissimi mali della tirannide, meno se stesso. Vede costui che le troppe gravezze di giorno in giorno spopolano le desolate provincie; ma tuttavia non le toglie, perché da quelle enormi gravezze egli ne va ritraendo i mezzi per mantenere l’enorme numero de’ suoi soldati, spie e cortigiani; rimedi tutti (e degnissimi) alla sua enorme paura. E vede anch’egli benissimo che la giustizia si tradisce o si vende; che gli uffizi e gli onori piú importanti cadono sempre ai peggiori; e queste cose tutte, ancorché ben le veda, non le ammenda pur mai il tiranno. E perché non le ammenda? Perché, se i magistrati fossero giusti, incorrotti ed onesti, verrebbe tolto a lui primo ogni iniquo mezzo di colorare le sue private vendette sotto il nome di giustizia. Ne avviene da ciò, e da altre simili cose, che dovendo egli mal grado suo, e senza avvedersene quasi, reputare se stesso come il primo vizio dello stato, traluce all’intelletto suo un fosco barlume di veritá, che gl’insegna che se alcuna idea di vera giustizia si venisse ad introdurre nel suo popolo, la prima giustizia si farebbe di lui; appunto perché nessun altr’uomo (per quanto sia

V. Alfieri, Opere - iv. 2