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ii. del principe e delle lettere
 



Capitolo Settimo

Dell’impulso artificiale.

Ma quell’altro lettore da me qui sopra accennato, che dalla altrui sublimitá solamente maraviglia, e non impeto di sdegno, ritrae, quello nega per lo piú di conoscere e di giustamente apprezzare se stesso; e, supponendosi le forze che egli avere vorrebbe, si destina egli pure alla sublime arte di scrittore. Quindi legge egli e rilegge; piú lingue impara e tutte le gusta; di ogni cosa si va facendo tesoro, tutti i generi tenta, in tutti pretende ed in nessuno primeggia; ma pure, cercando egli sempre ne’ libri altrui ciò che nel proprio ingegno e nel proprio sentimento non trova, perviene a farsi poi finalmente un certo capitaletto e a risplendere ed ardere, come secondario pianeta, di fiamma accattata. Costui, che dalla immensa fatica sua argomenta doverne riuscire immenso utile e diletto ad altrui, suol essere sempre assai piú orgoglioso e risentito che il vero e semplice grande. Corre tra questi due il seguente divario: il sommo stima se stesso, direi cosí, senza quasi avvedersene, e vie piú si estima nell’atto del comporre che poscia parlando o esaminando tutto ciò ch’egli ha fatto; il non sommo, col mostrar sempre agli altri un’altissima idea di sé, cerca d’ingannare se stesso, e di costringersi a credere di averla. Questi secondi vengono spessissimo dai vani giudizi del mondo preferiti a quei sommi. Sono questi i letterati protetti; e questi, in fatti, i proteggibili sono. Ad essi non è tuttavia negato il bello del tutto; ma è sempre un bello d’imitazione, in cui originalitá nessuna non li tradisce pur mai. Ma siccome la minor parte degli uomini sono i lettori, e siccome la piú gran parte dei lettori o non ha impulso veruno, o (come i piú degli scrittori, e massimamente moderni) da artificiale e debole impulso vien tratta; la fama che si ottiene da questi due cosí diversi impulsi scrivendo, viene per un certo tempo commista; ed anzi,