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premio quella testimonianza della propria superioritá che, spontaneamente uscendo dalle bocche degli uomini liberi, sola costituisce la vera fama e la gloria di chi n’è l’oggetto. Ardirei pure aggiungere che i semi per cosí dire di una tale testimonianza giá stanno nel cuore e nell’intelletto del grande che veramente n’è degno; ma che il solo pubblico grido li feconda poscia e sviluppa.
Questo divino impulso è una massima cosa, senza la quale nessun uomo può farsi sommo davvero. Ma non perciò tutti quelli che l’hanno (e son sempre pochissimi) riescono a farsi sommi davvero; che pur troppo questo divino impulso può essere dai tempi, dall’avversa fortuna e da mille altre ragioni indebolito, deviato, trasfigurato ed anche spento del tutto. Quest’impulso è una sovrana cosa, cui niuna potenza può dare, ma ogni potenza bensí lo può togliere. La libertá lo coltiva, lo ingrandisce e moltiplica; il servaggio e il timor lo fan muto. Quindi tanti uomini grandi sviluppansi nelle vere repubbliche; cosí pochi e di tanto minori nei principati; ancorché dei capaci di farsi tali ve ne nascano pure. Quindi i grandi in repubblica son sempre grandi di piú utile e vera grandezza, che i grandi nel principato: quindi gli uomini, quasi eguali e simili per loro natura in ogni contrada, riescono cosí diversi da nazione a nazione, e da tempo a tempo fra le nazioni stessissime: quindi, in somma, si vedono fra i popoli tenuti giá barbari sorgere le stesse virtú e grandi opere, di cui piú non si vede né l’ombra pure fra i popoli che, giá colti e liberi, rimbarbariti ora dalla servitú se ne giacciono. Lo stesso impulso naturale che creava uno Scevola in Roma nascente, creava un Decio in Roma perfetta, un Gracco in Roma giá guasta, un Mario in Roma morente, un Giulio Cesare in Roma giá spenta; e forse anche un Sisto quinto in Roma ecclesiastica. Ora, chi potrá dubitare che (mutati costoro di tempi) Cesare, con quella stessa smisurata ambizione che lo forzava a farsi da piú degli altri, nato nei tempi della prima libertá, non potendo primeggiare in potenza, non avrebbe, come Scevola, voluto soverchiar gli altri tutti in virtú? E che Scevola, nato ai tempi di Cesare, vedendo la virtú inutile e