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libro iii - capitolo v
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dottissime, fuorché nel libero, sublime e necessario esercizio dei dritti i piú sacri dell’uomo. Ma delle antiche e vere lettere, non distornate dal loro caldo ed unico fine, di render gli uomini sotto ogni aspetto migliori, erano il nobil frutto le antiche, libere, ed illustri al par che possenti e fortunate, nazioni.

Paragonando perciò con quelle i popoli nostri, e in tutti i diversi aspetti, sia d’interna felicitá, sicurezza e virtú, sia di esterna dignitá, grandezza e potenza, si verrá tacitamente a paragonare il diverso valore, la influenza, importanza ed utilitá delle scienze e delle lettere. A me pare, che da questo parallelo ben meditato si verrá apertamente a conchiudere che il vizio dei governi assoluti non osta alle scienze, né in chi scrive, né in chi legge, né in chi le protegge; e che, anzi, al promuoverle e perfezionarle è assolutamente necessaria una protezione qualunque, ancorché all’inventarle e crearle mortifera ella sia, come ad ogni altra util cosa. Ma da questo parallelo ben meditato, si verrá, spero, altresí a conchiudere che al ravviare le lettere, al far rivivere l’antica loro perfezione, e spingerla di qualche cosa piú oltre (il che impossibile non credo) assolutamente vuol essere libertá, e bollente amor di virtú, almeno almeno in chi scrive; ancorché, all’inventarle e crearle, la distruggitrice tirannide e la insultante protezione d’impedimento intero riuscire non possano. Ma un cosí forte impedimento son queste alla vera perfezion delle lettere, che la parola perfezione esclude assolutamente per esse ogni protezione di principe, la quale può sola macchiarle.

Capitolo Quinto

Dei capi-sètta religiosi; e dei santi e dei martiri.

Havvi un’altra specie di uomini sommi che, virtú e veritá insegnando, al pubblico talvolta giovarono; e a se stessi acquistarono quasi sempre gran fama. Son questi i fondatori delle sètte diverse, i santi ed i martiri, cosí cristiani che giudei o di

 V. Alfieri, Opere - iv. 14