Pagina:Alfieri, Vittorio – Della tirannide, 1927 – BEIC 1725873.djvu/192

186
ii. del principe e delle lettere
 



Capitolo Decimoterzo

Conclusione del secondo libro.

Mi pare che risulti, da quanto ho detto in questo secondo libro, che i veri letterati non possono, né debbono lasciarsi proteggere dai principi; perché nessuno di essi ha soggiaciuto a tal protezione senza un gravissimo scapito e delle lettere, e della propria eccellenza e fama. E parmi anche aver dimostrato che a eguale ingegno, lo scrittore sprotetto soverchierá il protetto, e d’assai. Ma le principali ragioni da me finora addotte, mi paiono venirsi tutte a ristringere in quest’una: che il principe e il letterato, e le arti loro, e il loro fine, essendo cose in tutto diverse e direttamente opposte, non si possono mai ravvicinare il protettore e il protetto, senza che il piú debole vi scapiti e ceda.

Vero è che la penna, in mano di un’eccellente scrittore, riesce per se stessa un’arme assai piú possente e terribile, e di assai piú lungo effetto che non lo possa mai essere nessuno scettro né brando nelle mani d’un principe. Ma verissimo è altresí che la penna perde ogni sua forza natía, ogniqualvolta non viene impugnata da uno scrittore non meno libero ed ardito, che ingegnoso, trasportato, ed esperto nell’arte sua. Quindi è, che se il letterato ed il principe si fanno amici, il principe ne diventa tosto il piú forte; ma se rimangono lontani e nemici, quali la natura ed il vero gli han fatti, il piú forte, il piú terribile, il vincitor trionfante della onorevol battaglia, riuscirá pur sempre a lungo andare l’imperturbabile, impavido e verace scrittore; ove per la illustre causa della umanitá oppressa e schernita soltanto ei combatta.