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null’altro possono se non se favorire e distinguere i loro schiavi. Quindi, l’essere scrittore pubblicamente onorato in repubblica, attesta l’aver dilettato e giovato ai piú; l’esserlo nel principato, attesta l’aver forse dilettato i piú, ma l’avergli ad un tempo traditi, cercando con false massime di giovare ad un solo. Ciò posto, se io risguardo Cicerone come semplice letterato, non lo biasimo quindi moltissimo dell’essersi voluto far console; eppure, per acquistare una tal dignitá in quei tempi, molti raggiri, pratiche e viltá gli sará convenuto adoprare, il che senza dubbio gli sará riuscito di molto minoramento alla stima di se stesso, all’altezza dell’animo suo, e quindi ai suoi libri, alla sua fama, alla sua gloria. Ma la maestá e importanza di una tale e fin allora legittima dignitá; la nobil fermezza con cui la esercitò Cicerone; la difficoltá dei tempi; l’esser egli nato libero ancora, e perciò necessario membro della repubblica; e in fine, l’aver egli fra tanti torbidi con tanto calore e felicitá coltivato sempre le sacre lettere; tutto questo ammirare e scusare e venerare mi fa Cicerone. E credo che ad ogni letterato perdonare e concedere si potrebbe, il volersi delle lettere far base e scala a divenir console in Roma a quei tempi; cioè a divenir piú grande, piú importante e possente di assai piú largo nobile e legittimo dominio, che nol sono dieci dei nostri moderni re, presi a fascio. Ma pure, nel perdonargli una tale ambizione, bisognerebbe confessare ad un tempo che codesto scrittor-consolo nuocerebbe non poco alla perfezione dell’arte sua; e si dovrebbe pur sempre riguardare da chi è ben sano di mente, come un traditore delle lettere. Costui dunque in suo cuore avrebbe creduto essere maggior cosa un console, che un perfetto scrittore; e che quella pubblica carica, data da altrui, fosse piú importante cosa che non la sua privata altissima carica di scrittore; carica che niuno può dare né tôrre: non si sarebbe ricordato costui che dei consoli ve ne erano stati a centinaia, e che gli eccellenti scrittori ad uno ad uno e pochi si annoverano; e da questa sola colpevole dimenticanza del primato innegabile dell’arte sua sovra tutte, ecco tosto lo scrittore fatto minore della propria arte.