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libro ii - capitolo ix
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ottenervi luogo a se stesso, e sorrepire in tal modo presso ai posteri una fama non meritata. L’attribuisco, oltre ciò, all’essere necessariamente arte del poeta, il parlar d’ogni cosa, ma il non discuterne né dimostrarne alcuna; all’essere la poesia per lo piú molto maggiore motrice di affetti nell’animo che di pensieri nella mente; al potere il poeta, mercé delle immagini parlare agli occhi, mercé del numero agli orecchi, mercé dell’eleganza alla sottigliezza del gusto; tutto ciò, senza che l’intelletto pensante gran parte vi prenda; lo attribuisco in fine al potere il poeta esser sommo (o almeno parerlo) senza che sommo sia ciò ch’ei dice, purché lo sia il modo con cui lo dice. E tali erano infatti quasi tutti i moderni poeti, e indistintamente tali sono stati e saranno tutti i non liberi e protetti scrittori. Credo che tutte queste allegate ragioni fan sí che agli occhi del principe la poesia sola trovi grazia; e che perciò ella sola possa fino a un certo segno prosperare, e prosperato abbia nel principato; ma non però mai quella sublime poesia, che al proprio immenso diletto l’utile della filosofia e l’impeto della oratoria aggiungendo, non può né nascere mai, né fiorire, se non in vera repubblica. E chi s’ardirebbe negarmi che se alle immagini, agli affetti, armonia, eleganza e giudizio del poeta di principe, annessa venisse la sublime robustezza, l’amor del vero, l’ardire, la fierezza, l’indipendenza e il forte e giusto pensare del poeta di repubblica, quello solo che tutto ciò raccozzasse sarebbe veramente il sommo poeta? il sommo, sí, quello sarebbe; poiché da quello soltanto verrebbero ad un tempo commossi tutti gli affetti, dilettati tutti i sensi, sviluppate ed accese tutte le virtú. Ma, se tale poeta vi fu mai, tali o quasi tali, erano senza dubbio i poeti principali d’Atene. Ed in fatti (se pur mi dicono il vero quei che sanno di greco e latino; che io del primo nulla so, e nell’altro piuttosto indovino che intendere) nessuno desidera in Omero od in Pindaro, la eleganza di Virgilio e d’Orazio; poiché quanta ne hanno costoro, tutta da quelli per imitazione l’han tolta; ma, chi è che non desideri sotto il divino pennelleggiar di Virgilio il fecondo inventare d’Omero, il dignitoso e libero dialogizzare

 V. Alfieri, Opere - iv. 12