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Capitolo Nono
Se sia vero che le lettere debbano maggiormente prosperare
nel principato che nella repubblica.
Ragionando io da sí gran tempo di letterati e di principi, mi si para naturalmente innanzi una questione che par meritare capitolo da sé; benché molte parti di essa io ne sia venute accennando nel corso di questo libro secondo. — Le lettere, debbono elle veramente più prosperare nel principato che nella repubblica? e se cosí è, quale ne può essere la trista e lamentevole cagione? il difetto di tal cosa sta egli nelle lettere stesse, o nei letterati, o nei popoli, fra cui e per cui questi scrivono?
Di queste cose tutte, quanto potrò piú brevemente sviluppandole, discorrerò. Ecco da prima che se ai fatti ricorro, trovo pur troppo che dei quattro secoli, in cui con lunghi intervalli fiorirono le lettere, tranne il primo e il piú fecondo, quello di Atene libera, gli altri tre furono senza dubbio promossi, e per cosí dire covati dai principi di cui conservano i nomi. Quindi, se imprendo ad esaminare la non lunga rassegna degli altissimi scrittori d’ogni nazione e d’ogni secolo, trovo il numero dei nati in principato per lo meno eguale al numero dei nati in repubblica, e la loro eccellenza trovo pur anche divisa; ma non però tanto che la vera e massima eccellenza (cioè la massima utilitá) non si debba originare quasiché tutta dai letterati nati in repubblica. Gradatamente poscia ritrovo la seconda e minore eccellenza presso i nati in principato, ma non fattisi né lasciatisi proteggere. La terza ed infima eccellenza finalmente ritrovo per lo piú negli scrittori nati schiavi, rifattisi poi doppiamente schiavi; e, come tali, pagati, inceppati e protetti.
E venendo agli esempi, se fra gli scrittori tutti noi poniamo in prima riga i sommi filosofi che, come padri d’ogni lume ci si debbono di necessitá collocare, bisogna pur confessare che questi erano tutti greci, cioè liberi: e non erano né egizi, né indiani, né persi, né assiri. E bisogna aggiungere che non