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ii. del principe e delle lettere
 



piú di due mille anni come se ier l’altro ei vivesse, agli uomini tutti presenti e futuri giova e gioverá; né ad alcuno mai nocque, se non a chi volle, senza averne l’ingegno, imitarlo. La virtú e la sublimitá egli insegna, il cuore dell’uomo sviluppa e commuove; guerriero egli e legislatore, amico degli uomini e del vero, gli illumina discoprendolo. Ed a cosí immenso giovamento quanto dal suo insegnare si trae, vi si aggiunge di piú quell’immenso diletto che a tutti arreca; cosa che nessun gran principe, neppure giovando, non arrecava ai popoli mai. Omero fu invidiato da Alessandro, senza accorgersene questi, nello invidiargli Achille; ma se Omero rivivendo paragonasse la sua propria fama a quella d’Alessandro, non credo io che egli mai Alessandro invidiasse.

Ma quando anche in vita fossero essi stati, o sembrati uguali il gran principe e il gran scrittore, eguale non può mai essere in appresso la loro memoria e fama, per due potentissime ragioni. Prima: che il principe non può aver giovato che ai soli suoi popoli, e per un dato tempo; lo scrittore a tutti e per sempre. Seconda: che il principe ha tratto la propria grandezza da mezzi che non erano in lui stesso: poiché, se non avesse egli avuto e stato e potenza, nessuna delle sue imprese avrebbe potuta condurre a buon fine: ed inoltre, di cotesta sua propria grandezza niuno stabile effetto ai posteri ne può il principe tramandare; null’altro del suo alla voracitá del tempo involandosi fuorché la memoria ed il nome: e questi anche, se debbono rimanere grandi davvero, abbisognano pur sempre d’un grande scrittore. Al contrario lo scrittore sublime, tutto in se stesso ed in sé solo trovando, fabro egli solo della propria grandezza, non meno che dell’utile altrui, alle seguenti etá tramanda eternamente la viva sua fama, non quasi un vuoto nome, ma corroborata e giustificata dal proprio libro.