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ii. del principe e delle lettere
 



E sempre io parlo di calda, di forte e di vivissima impressione, come della piú importante parte d’ogni buon libro; perché gli uomini tutti per lo piú, e maggiormente i piú schiavi (come siam noi) peccano tutti nel poco sentire. Credo che ciò provenga (almeno in noi) dal troppo parlare, dal poco pensare e dal nulla operare; esistenza affatto passiva, che ci è singolarmente toccata in sorte a questi tempi, come ho giá piú sopra osservato; sorte, di cui dobbiamo pure esser degni, poiché con tanta disinvoltura la sopportiamo; ed i piú la sopportano senza neppure avvedersene.

A cosí fatti popoli non si ardisce in nessun modo annunziare il vero di bocca; conviensi dunque a lor favellare per via degli scritti. Ma cosí forte e inveterato deve essere il loro callo, ch’io credo necessario il tuonare per fargli appena appena sentire. Ogni lievissimo cenno è troppo per aizzare la tigre e il leone; ma qual pungolo è mai troppo acuto per inferocire il placido aggiogato bue? Quindi, ogni libro debole di pensieri e di stile, riuscirá fra noi di nessunissimo effetto; ed ogni forte libro di picciolissimo effetto riuscirá. Non potendo dunque lo scrittore ottenere una commozione che egli fortissimamente non provasse prima in se stesso; né potendola egli in tal modo provare e causare in altrui, se le cose da lui inculcate non praticava egli primo, ne risulta che uno scrittore non ha fatto mai un forte e buon libro senza stimare se stesso moltissimo. Ma può egli moltissimo stimare se stesso, senza essersi fatto assolutamente libero da ogni servitú di coloro ch’egli stimare non debbe, né può? Ed essendo egli ingegnoso, libero, virtuoso, costumato, eloquente, potrá egli mai mancar d’alti sensi, né di giusto ardire, né di luminose idee, né di forti, splendidi e sublimi colori per esprimerle?

Si osservi che se a Virgilio (come giá dissi) è mancata l’energia d’animo che richiedeasi in un romano che a romani parlava, la cagion principale ne fu, che egli debolmente sentiva, e se stesso non istimava né stimare potea. Quindi è che, oltre il timore d’Augusto, anche la vergogna di se stesso lo trattenea dal dare certi tocchi risentiti, feroci e verissimi, i quali smentito