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ii. del principe e delle lettere
 



E questa parola se stesso, ch’io tanto ribatto, si dée talmente dall’artefice in tutta la sua immensitá immedesimare colla parola vero, che quando egli dice dopo il maturo esame d’una opera sua, come d’una altrui, «non mi piace», equivaglia ciò per l’appunto il dire «non ci è il vero»: con quelle picciole restrizioni però che le facoltá limitate dell’uomo richiedono pur sempre, ma, che non sostituiscono tuttavia mai il falso al vero.

Alcuni, per distruggere in una parola quanto io finora ho ragionato intorno a Virgilio, diranno che egli non avrebbe forse scritto nulla, senza la protezione d’Augusto. Rispondo che cosí può essere e ch’io stesso cosí credo; e che ad ogni modo noi dobbiamo pur essere molto tenuti ad Augusto di un tanto poema, in cui ciò che manca non si suol mettere in contrappeso dai piú con tutto quel che vi abbonda. Gli amatori principalmente di poesia, che con tanto trasporto leggono e debbon leggere l’Eneide, cosí dicono e cosí debbono dire. Ma chi specula in grande, è sforzato a giustamente conchiudere che il bene di una cosa non ne toglie però il male; e che dovendosi cercare, per quanto è possibile, sempre quella perfezione che sta sola nel maggior utile, indispensabilmente ella si dée sempre originare o dalla schietta veritá, o dalla finzione che venga a conchiudere in qualche schietta veritá. Quindi, anche gli amatori piú caldi di Virgilio (e mi vanto io d’esser uno di quelli) debbono pur confessare, se intendono ed amano il vero, che Virgilio, nato cent’anni prima con le stesse sue doti, avrebbe fatto di tanto migliore il poema, di quanto quella Roma era miglior della sua; ovvero, che essendo anche nato sotto Augusto, se egli, provvisto delle prime necessitá, avesse avuto sí fatta altezza nell’animo di tornarsene a scrivere liberamente il poema nella sua nativa palude, e che scrivendolo avesse avuto sempre in vista di piacere al vero e a se stesso, Virgilio in tal modo sarebbe pervenuto a piacere e a giovare assai piú a’ suoi coetanei e a’ suoi posteri; e tessuto avrebbe un poema tanto maggior di quel suo, quanto l’animo, i costumi, la vita e la sublimitá d’un vero saggio indipendente avanzano i costumi, la vita e la bassezza d’un tiranno e dei suoi cortigiani.