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meno la poesia, maneggiata da servi artefici, può altamente trattare cose alte, senza contaminarle coll’errore, col timore e colla servile adulazione. Quindi è che fra noi tutto il fiore del bel dire, tutto il sapore della eloquenza, non divenendo mai per cosí dire l’ammanto della veritá, questa energia, brevitá, evidenza e naturalezza dei nostri scrittori pare sempre accattata e mancante, perché non viene a comporre uno stile adattato alle cose.
Ma vi sono alcuni momenti in cui un popolo, giá stato libero e non vile, all’uscire dalla sua rozzezza ed onestá di costumi, e all’entrare nella cólta corruzione, riunisce istantaneamente in sé, benché menomati e non perfetti, i due semi della passata potenza e della presente coltura. Scemando poi ogni giorno piú la virtú e deviandosi l’eloquenza dal vero, quella luce, quasi un passaggero lampo, interamente tosto svanisce. Cosí Roma ebbe scrittori sublimi sí nel pensare che nella eleganza, in quel breve secolo in cui rimembrò ella ancora la perduta libertá, e la grandezza della passata repubblica; inoltratasi quindi nella servitú, tanta era stata la primitiva sua forza, che diede ancora alle morenti lettere un Giovenale ed un Tacito; ma li diede soli; invecchiata poi nel servire, non ebbe piú nulla affatto di grande. E si osservi in questa universal decadenza, che l’autoritá assoluta degli imperatori consecutivi fu anche poi distruttiva di quella stessa vuota eleganza dello scrivere che, andandosene ignuda d’ogni sublimitá e veritá di pensieri, e che avendo in Roma ricevuto vita e protezione da un tiranno, parea doversi sotto altri tiranni almen mantenere; manifesta prova che noi c’inganniamo assai nel credere che il principato possa essere il vero protettore delle lettere, anche deviate dal loro diritto e legittimo scopo.
Finisco dunque col dire che, a parer mio, la perfezione delle lettere quanto all’eleganza (che è pur troppo sempre quella che intendiamo noi) piú facilmente può nascere fra un popolo di costumi corrotti e non libero, che non fra un popolo libero e sano; benché Atene ci provi pur sempre il contrario. Ma se cosí è, io credo che codesta perfezione delle lettere sia una