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ii. del principe e delle lettere
 



riunire la indipendenza tutta dal principe (ma piú nobile assai, e piú legittima, col non obbedire che a moderate e savie leggi) e riunire in sé la educazione del cittadino, l’ingegno, i costumi, la conoscenza degli uomini, l’amor del retto e del vero; quegli, a uguale capacitá, avanzerá di gran lunga quanti altri ottimi scrittori ne siano in altre circostanze mai stati.

In somma, io non posso nel cuore di un vero scrittore dar adito ad altro timore che a quello di non far bene abbastanza; né ad altro sperare che a quello di riuscire utile altrui, e glorioso a se stesso. Ammettendo un tale principio, si esamini se il sublime scrittore nel principiato potrá mai essere un ente vissuto fra i chiostri, un segretario di cardinale, un membro accademico, un signor di corte, un abate aspirante a benefici, un padre, o figlio, o marito, un legista, un lettore di universitá, un estensore di fogli periodici vendibili, un militare, un finanziere, un cavalier servente, o qualunque altr’uomo in somma che, per le sue serve circostanze, sia costretto a temere altro che la vergogna del male scrivere, o a desiderare altro che il pregio e la fama della eccellenza.

Rimanendo per se stessa esclusa da quest’arte una cosí immensa turba di non-uomini, a pochissimi uomini mi rimane a parlare. A quelli dunque che letterati veri ardiscano e possono farsi, dico che, senza scapito massimo dell’arte, non possono essi lasciarsi proteggere da chi che sia. Ed ella è cosa certa pur troppo che, se essi faranno interamente il severissimo loro dovere, di professar sempre e dire con energia la veritá, non dureranno fatica veruna per sottrarsi da ogni protezione: tolta però sempre quella del pubblico illuminato, quando perverrá ad esserlo; protezione, la sola, che onoratamente si possa e bramare e ricevere.