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ii. del principe e delle lettere
 



Capitolo Primo

Se i letterati debbono lasciarsi protegger dai principi.

Lo scrivere è una necessitá di bisogno in molti; e questi per lo piú non possono essere veramente scrittori, né io li reputo tali; lo scrivere è una necessitá di sfogo in alcuni; e questa, ben diretta, modificata e affatto scevra di ogni altro bisogno, può spingere l’uomo ad essere quasi che un Dio.

Spessissimo però accade (pur troppo!) che i sommi ingegni nascono necessitosi di pane. Né io certamente imprendo qui a fare l’apologia dei ricchi; i quali anzi, per lo piú nascono di assai meno robusta natura cosí di corpo come d’ingegno: vorrei bensí persuadere e convincere gli scrittori tutti che non possono essi mai ottenere gloria verace con fama intatta e durevole; né quindi mai cagionare utilitá vera e massima nei loro lettori, se il loro scrivere non riesce alto, veridico, libero e interamente sciolto da ogni secondo meschino fine. Parlando io dunque ai grandi ingegni (ma ai soli e pochi grandissimi) che per ingiustizia di fortuna si trovano esser nati poveri, dico loro che, se vengono a conoscere se stessi in tempo, debbono da prima, ove sia possibile, con qualunque altra arte migliorare la loro sorte, per poi potersi, per mezzo della indipendenza, valere del loro ingegno liberamente. E di ciò gli scongiuro, per quel sommo utile che dai loro scritti ne può ridondare agli uomini tutti; e per quella purissima gloria che ad essi ne dée ridondare. Ma se non possono assolutamente procedere nel modo su divisato, li consiglio a desistersi dalla impresa dello scrivere e a cercare altri mezzi per campare; che tutti, in ogni tempo e governo, riescono a ciò piú atti che non il mestier delle lettere. In una parola in somma, io dico che all’ingegno dée bensí la ricchezza servire, ma non mai alla ricchezza l’ingegno.

Se il piú nobile, se il piú elevato, il piú sacro, e quasi divino ufficio tra gli uomini è quello di voler loro procacciare