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ii. del principe e delle lettere
 



Ma poniamo anco che tali cose si vadano pure leggendo, e con qualche frutto; chi è che le legge? Non il popolo, che appena sa leggere; che, sepolto nei pregiudizi, avvilito dalla servitú, fatto stupido dalla povertá, non ha né tempo, né mezzi, né aiuti, per imparare a discernere i suoi propri diritti: ed egli pur solo potrebbe farli valere, conoscendoli. Leggono adunque veramente nel principato i pochi uomini rinchiusi nelle cittá; e fra questi, il minor numero di essi; cioè quei pochissimi che, non bisognosi di esercitare arte nessuna per campare, non desiderosi di cariche, non adescati dai piaceri, non traviati dai vizi, non invidiosi dei grandi, non vaghi di far pompa di dottrina, ma veramente pieni di una certa malinconia riflessiva, cercano ne’ libri un dolce pascolo all’anima, e un breve compenso alle umane miserie; le quali forse assai piú vivamente vengono sentite da chi il minor danno ne sopporta. E cosí fatti lettori (a questi soli attribuisco io un tal nome) che non sono uno in dieci mila, spaventare potrebbero il principe?

Leggere, come io l’intendo, vuol dire profondamente pensare; pensare vuol dire starsi; e starsi vuol dire sopportare. Si esamini la storia e si vedrá che i popoli tutti ritornati di servitú in libertá non lo furono giá per via di lumi e veritá penetrate in ciascuno individuo; ma per un qualche entusiasmo saputo loro inspirare da alcuna mente illuminata, astuta, e focosa: e neppur quella era una mente seppellita nell’ozio degli studi, ma pensante per se stessa, e di quel pensare che nasce da un sentimento naturale e profondo; forse risvegliato da un tratto di tale o tal libro, ma non mai accattato dai molti di essi. Ed in fatti, Giunio Bruto, Pelopida, Guglielmo Tell, Guglielmo di Nassau, Washington, e altri pochi grandi che idearono od eseguirono rivoluzioni importanti, non erano letterati di professione. Crederei anzi (e l’effetto finora me lo dimostra vero, pur troppo!) che i lumi, moltiplicati e sparpagliati fra i molti uomini, li facciano assai piú parlare, molto meno sentire, e niente affatto operare. Si parla e si legge e si scrive in Parigi; e ci si obbedisce pure finora, quanto e piú che a Costantinopoli, dove nessuno scrive e pochi san leggere. Ma pure, fra’ turchi,