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ii. del principe e delle lettere
 



il contrario di quello che van predicando le lettere, le oltraggia perciò maggiormente col proteggerle, nutrirle, e ogni giorno svergognarle. Alla pubblica voce del volgo fanno eco i letterati stessi i quali, parlando di cosa che li tocca da presso, non vogliono schiettamente dire la veritá. Eppure, ben pesato il tutto, qual piú atroce insulto può egli farsi alle lettere, che di pascerle ed impedirle? ma, certamente, se i letterati negletti pongono il principe moderno in discredito, conviene pur anche confessare che i letterati protetti pongono se stessi in un discredito assai maggiore e piú fatale di tanto, che alla sublimitá dell’arte loro una tal protezione può nuocere e nuoce, senza che alla mediocritá del principe proteggente quasi niuno accrescimento ne ridondi. Del che nel secondo libro mi riserbo a ragionar lungamente.

Capitolo Settimo

Che i letterati perseguitati riescono d’infamia e danno al principe.

Che dirò poi del principe che, non pago di lasciargli alla necessitá, li perséguita? egli si apparecchia molta infamia, e molto piú danno. Se le cose deboli per se stesse (o almeno di una forza non palese a tutti, come lenta e lontana) possono pure mai nuocere al potente, l’unico mezzo affinch’elle nuocano si è lo inimicarle, mostrando di temerle. Gli uomini per natura inclinano dalla parte del debole; e gli oltraggi fatti dal principe all’universale sono giá tanti che, a farsi egli biasimare e abborrire, ci vuole assai meno che il perseguitar letterati. Ma dirá il principe: — Mi biasimino in voce costoro; poco e sommessamente il faranno: ma se io non gli opprimessi o cacciassi o affliggessi, mi biasimerebbero in iscritto, il che sarebbe assai peggio. — E molto bene ragionerebbe costui, se alcun cantuccio non rimanesse sul globo, donde il letterato potesse poi, ricovratosi in sicurtá, scagliare contr’esso di ogni sorta scritti, e ridersi dei suoi fulmini. Ma, poiché pure un tale asilo