Oh che silenzio universal là regna!
Come tutto è deserto, e come v’alza
Morte la sua vittoriosa insegna!
Onda che altra onda mormorando incalza,
Là mai non senti, e muto il vento aleggia
Per la nuda di tutti arbori balza.
E se vedi cader rupe che ondeggia,
O per gran vento, o per sostegno infido,
Solo è quel tuono a cui null’altro echeggia:
Nè voce d’animal, nè acuto strido
Vi risponde d’augello, cui paura
Subita cacci dal tremante nido.
Certo v’abita il Sonno; ed ogni cura
Pare depor colà, par di sè stessa
Dimenticarsi e riposar Natura.
Ed il Sonno a me pur la mente oppressa
Strinse allor ne’ suoi lacci, e dolce calma
Comandata mi fu, non che concessa.
Destaimi, e alzai la ristorata salma
Ch’era la notte a mezzo l’emisfero,
E stupor nuovo mi percosse l’alma.
Cintia in un ciel dell’ebano più nero
Splendea così, tal luce il bianco gelo
Ripercuotea, che vinse ogni pensiero.
Spenta n’era ogni stella. Ed io nol celo;
Restar solo mi parve, e ne tremai,
Visto deserto il suol, deserto il cielo. —
Queste mi disse, ed altre cose assai.
Mentre meco ei scendea da quella cima,
Chiari spargendo di scïenza rai.
Disse lo strano di que’ luoghi clima.
Letto ch’egli ebbe il freddo, e letto il lieve
Nel licor che s’abbassa o si sublima.
Di quei ghiacci parlò; come la neve
S’unisce e indura, e in gelo si converte
Per nevi che fur sciolte, e ch’ella beve.
Di que’ monti parlò; come coverte
Del mare ancora d’abitanti vôto.
Stesser le cime lor più acute ed erte:
Come d’un mineral Nettunio loto
Si componesse quella cote antica,
Che il natal confessò da prima ignoto.
Questo fu il sogno, e benchè lingua amica,
Che il vero solamente a me s’offerse,
Che illusïon quella non fu, mi dica:
Pur sì maravigliose e sì diverse
Fur le cose ch’io vidi, e tale a questo
Incantato mio cor scena s’aperse,
Che pensar non poss’io ch’io fossi desto.